Al rifugio Massi di Oulx, a settembre hanno lavorato come volontari, per un paio di giorni, due studenti saviglianesi, entrambi di 22 anni, Giuliano Ariaudo e Alberto Vassallo. Giuliano mi racconta che i volontari dormono al primo piano, dove ci sono anche stanze per donne sole.
Che cosa fanno? «Le mansioni sono molteplici: aiutare in cucina, pulire, organizzare le liste per chi prenderà l’autobus, accompagnare i migranti alla fermata, sistemare il magazzino, la dispensa, pulire le camere. Gli ospiti dormono su letti a castello nelle stanze al secondo e al terzo piano. Si cerca di mettere le famiglie insieme. Nei giorni di maggior afflusso dormono dappertutto. Ne arrivano di continuo e sono stanchissimi. Il picco generalmente è di notte, quando, a coloro che viaggiano in treno, si aggiungono i respinti dal lato francese. Si svegliano tra le 6.30 e le 7. Vanno in sala da pranzo per la colazione. Quando sono tantissimi si dispongono in fila indiana e i volontari porgono loro una tazza con tè o caffelatte. Amano che sia zuccheratissimo, se non è così preferiscono stare senza. Il mattino c’è sempre molta coda per usufruire dei servizi igienici comuni al piano terra. A colpire di più Giuliano sono «i turni massacranti degli operatori. I volontari vanno a dormire verso mezzanotte, invece gli addetti al rifugio continuano fino alle 2 e si alzano alle 6 del mattino. Hanno sangue freddo, sono decisi, perché devono far rispettare le regole per evitare il caos e far ritornare la calma dopo le liti. Nonostante ciò mi sono trovato bene, perché gli operatori sono gentili. Con questa esperienza ho capito che per aiutare non servono grandi competenze, è sufficiente sapersi mettere in gioco. Chiunque può donare il proprio aiuto».
Alberto Vassallo ha fatto da apripista a Giuliano. Quest’estate ha prestato volontariato per un mese in una baraccopoli di Nairobi, in Kenya. Saputo del rifugio Massi ci è andato a lavorare per alcuni giorni. Gli chiedo cosa hanno in comune per lui le due esperienze in Africa e a Oulx: «Credo siano la continuazione di una realtà cruda e senza prospettive. I migranti partono dall’Africa con la speranza di cambiare vita. Noi li vediamo qui in Italia, ma non conosciamo veramente le atrocità che li hanno spinti a partire. Al Massi ho mangiato con loro per instaurare un dialogo, così mi hanno raccontato le esperienze che hanno vissuto e mi hanno mostrato le cicatrici sulle braccia e sulla schiena. Non tutti partono da Paesi in guerra come il Sudan. Altri s’imbarcano, a volte, perché hanno una visione dell’Europa distorta, la credono un paradiso terrestre. Penso che si debba lavorare per migliorare la situazione laggiù, onde evitare di avere queste terribili ondate migratorie, ma nel contempo non ci si può sottrarre dall’aiutarli anche qua».
di Maria Gabriella Asparaggio