Come guardano il futuro i nostri giovani? Intervista a 6 ragazzi

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Viviamo in un’epoca particolare e difficile. Dopo una tragica pandemia, oggi siamo spettatori di tensioni e conflitti internazionali. A tutto questo si aggiunge un periodo di incertezza economica e lavorativa, che va a colpire anche e soprattutto i più giovani. Ed è a loro che abbiamo chiesto un parere. Abbiamo intervistato sei racconigesi di diverse fasce d’età, per porre a loro una domanda: sono Giulia Pisarra (studentessa, nata nel 2007), Lorenzo Delfino (studente, 2004), Fabio Castagno (insegnante in una scuola di ballo, 1999), Carola Fiorindo (insegnante, 1997), Ettore Paschetta (imprenditore, 1996) e Sara Mesce (logopedista, 1994).
In questa epoca di incertezza economica e lavorativa, segnata da conflitti internazionali, cosa vedi nel futuro attraverso il tuo sguardo?
Giulia Pisarra: «Anche io mi sento pienamente parte di una generazione che guarda al futuro con molte domande. Sono figlia di un imprenditore, cresciuta in mezzo al lavoro di famiglia, in un bar, che mi ha insegnato l’impegno quotidiano, le difficoltà, i sacrifici, ma anche il valore delle relazioni e della fiducia che si crea con le persone. Quest’esperienza mi ha fatto capire quanto possa essere dura portare avanti un’attività, quanto facilmente ci si possa sentire stanchi, sfiduciati o spaventati da tutto quello che può andare storto. Sinceramente anche io ho paura di non trovare la mia strada, di fare scelte sbagliate, di non essere abbastanza forte per reggere le responsabilità che il mondo del lavoro impone. Allo stesso tempo, però, vedo anche la bellezza dell’indipendenza, dell’essere parte attiva della società, del costruire qualcosa di reale. Il futuro per me è ancora incerto, sì, ma non è qualcosa da evitare, bensì da affrontare con consapevolezza e con la speranza che, nonostante le difficoltà, possa esistere uno spazio anche per le mie ambizioni e i miei sogni».
Lorenzo Delfino: «Da qualche anno stiamo vivendo forse il periodo più precario del secolo. Ogni tipo di certezza, di stabilità politica, ambientale, economica e sociale sta venendo meno e questo vede come diretti interessati i giovani, che ne stanno risentendo ma che soprattutto ne risentiranno e ne vedranno le conseguenze future. La situazione mi sembra instabile e preoccupante; che ne sarà della mia vita lavorativa e finanziaria? Considerando anche l’insorgere dell’intelligenza artificiale che, a mio avviso, ha più svantaggi che vantaggi. Ho paura che la situazione attuale possa influenzare negativamente ciò che farò o, meglio, che vorrò fare. Questo perché il deterioramento generale di ogni tipo di ambito non sembra avere vita breve. Time will tell (col tempo si vedrà)».
Fabio Castagno: «La risposta sta proprio nella domanda, un futuro incerto. Il mondo sembra progredire sotto tantissimi aspetti, tanto che a volte si è convinti di vivere in una storia fantascientifica, come in un film. Eppure, tutto questo progresso a volte viene meno sui temi più importanti. Viviamo nell’epoca in cui tutti desiderano la perfezione: nella vita, nel lavoro, in famiglia e con la casa. Ci si guarda intorno e sembra che il vicino sia sempre un passo avanti e si vive con la pressione costante di dover fare ed essere di più. Ogni volta che si pensa di aver raggiunto un obiettivo ci sbrighiamo a trovarne uno nuovo, perché quello raggiunto, ormai, è diventato vecchio. Non c’è tranquillità e pace, ma solo una costante frenesia, dove tutto è contornato da guerre e crisi, parole ormai ripetute allo sfinimento e che si è stanchi di sentire. Per un futuro più sereno bisognerebbe prendere un respiro e vivere la vita giorno per giorno. È la solita frase fatta, ma a preoccuparsi troppo di ciò che è successo e di quello che succederà si rischia alla fine di non godersi il presente e non vedere le cose con lucidità».
Carola Fiorindo: «Il futuro è sempre stato incerto, per ogni generazione. Per quanto mi riguarda, però, non lo vedo solo sfocato, ma anche e soprattutto buio. Tanto che l’unico modo per trovarne scampo è non pensarci, concentrarsi sul fatto che non ha senso preoccuparsi per qualcosa che, di fatto, ancora non esiste. Tuttavia, mi pervade la consapevolezza che, se non ci muoviamo ora, un futuro è probabile che non ci sarà. Sento addosso allo stesso tempo il desiderio di oblio e il peso della catastrofe annunciata. Se nel mio privato posso consolarmi con l’idea che, alla fine, andrà tutto bene, nonostante la precarietà, la crisi e una laurea che lascia l’amaro in bocca per quanto poco sembra servire, so che non possiamo stare fermi riguardo al destino globale; o ci muoviamo ora per l’ambiente, per le ingiustizie secolari e di conseguenza per i diritti umani, o ciascuno dei nostri piccoli futuri non esisterà. La sensazione perenne è, quindi, quella di essere confinata in un eterno presente, in cui non esistono progetti a lungo termine e in cui io rimango sempre la stessa, ad arrancare tra catastrofi globali e precarietà personale».
Ettore Paschetta: «Viviamo un periodo di grande incertezza che rende difficile pianificare il futuro e far crescere un’azienda. Le misure governative spesso sostengono solo i dipendenti, mentre chi crea lavoro fatica a trovare incentivi reali. Eppure, non credo alla leggenda che i giovani non vogliano impegnarsi; vedo tanti ragazzi motivati, ma senza condizioni concrete per mettersi in gioco. Anche l’intelligenza artificiale cambierà il lavoro, togliendo alcune occupazioni ma aprendone altre e trasformando servizi e prodotti. La chiave è non aspettare aiuti esterni, ma adattarsi e cogliere le opportunità che il cambiamento porta. Per me, il futuro resta prima di tutto un’opportunità, non una minaccia».
Sara Mesce: «Vi sono tante incertezze. Dal punto di vista economico c’è un po’ di svilimento, perché mi sembra che lo stipendio e non si riesce a mettere molto da parte. Tutta questa incertezza mi fa paura, perché sono cresciuta con un altro modello; dal punto di vista lavorativo, da un lato aumenta la motivazione per tentare di ricrearsi e rimettersi in gioco, ma dall’altro vedo che non è sempre così, e fa male, perché, per quanto uno ci creda, si scontra con burocrazia e sussidi donati, e mi porta a chiedermi quanto sia giusto o vano. Se guardo alla situazione mondiale, con i numerosi conflitti, questi non dipendono da noi singoli, ma a mio parere da un sistema che mira in quella direzione. Dunque, il primo passo forse dovrebbe essere quello di provare a cambiare il sistema in cui noi ci ritroviamo, per far sì che cambi qualcosa anche dal punto di vista internazionale».
di Davide Bergesio

