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Una doccia gelata ha investito i lavoratori dello stabilimento di Racconigi dell’ex Ilva (oggi Acciaierie d’Italia), quando il 52% della forza lavoro dell’impianto (45 lavoratori) è stata messa in cassa integrazione. Il motivo? Il fermo dell’Altoforno Uno di Taranto, sequestrato dopo l’incendio del 7 maggio, che ha comportato lo stop delle lavorazioni sugli impianti dell’azienda, incluso quello racconigese.
Giovedì 15 maggio si è tenuta un’assemblea davanti ai cancelli dell’impianto alla presenza dei delegati sindacali e del segretario provinciale della Fiom-Cgil Domenico Calabrese, per valutare le conseguenze sul sito racconigese. Erano presenti il consigliere regionale Mauro Calderoni, il consigliere provinciale Davide Sannazzaro, il vicesindaco Alessandro Tribaudino, la consigliera di maggioranza Daniela Biolatto e i consiglieri di opposizione Margherita Abrate e Federico Soldati.
Da giugno, i 45 lavoratori in cassa integrazione potranno prestare servizio per sole otto giornate al mese. La decisione dell’azienda ha portato al fermo di altri 3.538 addetti a Taranto, 178 a Genova e 163 a Novi Ligure, dove si trovano gli altri stabilimenti del colosso. «Quando succede qualcosa a pagare sono sempre i lavoratori – ha dichiarato Calabrese – Non c’è coerenza tra lo stop dell’altoforno a Taranto e l’avvio immediato della cassa integrazione a Racconigi».
L’amministrazione comunale di Racconigi ha chiesto un confronto urgente al presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, che ha convocato un tavolo regionale di crisi mercoledì 29 maggio presso il Grattacielo della Regione a Torino.
di Davide Bergesio
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