«Devastazione ovunque, un silenzio surreale e quel fetore di morte che impregnava ogni cosa».
Così Natale Vittorio Bergamin – per tutti Vittorio, anche se Natale è il primo nome «Sono nato a mezzanotte del 24 dicembre» – ricorda la tragedia del Vajont, che lo vide portare i soccorsi in prima persona.
«Il nostro reparto di fanteria, di stanza a Cividale del Friuli – racconta il nostro concittadino – fu tra i primi a giungere sul posto. Increduli – sia noi, semplici soldati di leva, che i comandanti — ci guardavamo attorno allibiti. Comprendemmo subito che qualcosa di terribile si era abbattuto su quelle terre». La sua fu una scelta volontaria, un gesto di generosità che gli valse un attestato di benemerenza, a firma dell’allora ministro della difesa Giulio Andreotti.
A distanza di 60 anni da quel 9 ottobre 1963, l’emozione è ancora forte. «Eravamo in mezzo al nulla e ci domandavamo dove fosse il paese di Longarone: nessuna strada, nessuna piazza, nessuna casa. Vedevamo solo spuntare il campanile. Camminavamo su una muraglia di detriti che aveva ricoperto tutto». Una “Pompei delle Dolomiti”. «Sembrava che l’intera montagna si fosse staccata, cadendo come un sasso in un bicchiere colmo sino all’orlo. Una forza sovrannaturale superiore anche alle previsioni più pessimistiche si era scaraventata sul fondovalle, radendo al suolo tutto ciò che incontrava. A Longarone era sopravvissuto il pavimento della chiesa, dove vennero allineati i corpi dei morti». Ben 1.910, tra cui 267 bambini. Molti i dispersi, dei quali non si è saputo più nulla.
di Simona Trabucco
L’INTERVISTA COMPLETA ALL’INTERNO DEL GIORNALE.