Viaggio ai confini del Vicino Oriente - Una cruda realtà e il ritorno a casa

L'itinerario dei nostri corrispondenti è finito: le ultime due tappe prima del rientro a Savigliano
28 Lug 2025   

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L'itinerario dei nostri corrispondenti è finito: Gabriella e Gigi, dopo aver costeggiato il Vicino Oriente, rivolgono il loro “cavallo ferrato” verso l'Occidente; il ritorno in Italia e a Savigliano prevede il passaggio in Bulgaria e in Serbia, tra forti contraddizioni e situazioni alquanto delicate.

Bulgaria

Sono molte le bandiere dell'UE che si incontrano nel Paese, ma quello che più mi ha colpito è vedere il vessillo ucraino sventolare a fianco di quello bulgaro sul palazzo del comune. È un chiaro segno della strada intrapresa dalla Bulgaria di apertura all'Occidente.

Il vessillo ucraino che sventola fa pensare soprattutto perché viene da un paese ex comunista a tal punto che si diceva che “quando a Mosca piove a Sofia già si apre l'ombrello“. Qui non c'è più voglia di comunismo che ho lasciato degli strascichi nella vita quotidiana della gente che sembrano indelebili, come dimostra questo carretto che sfila alla periferia di Belgrado.

Sempre a Sofia, sulla piazza antistante il palazzo del Presidente, due uomini manifestano contro dei politici in carica accusandoli pesantemente: i toni di queste scritte sono forti e diretti contro il governo centrale, accusato di crimini e torture. 

Serbia

In seguito dalla Bulgaria ci dirigiamo verso la frontiera con la Serbia preparati all'attesa e alle code sotto il sole cocente. Per fortuna sconfiniamo relativamente in fretta.

Raggiungiamo Novi Sad. C'eravamo già stati: la troviamo migliorata. Soggiorniamo in un hotel del centro dove passeggiamo e immortaliamo vie, scorciatoie tra le case che abbreviano il tragitto e ti riportano all'esterno. In alto domina la fortezza che si illumina di notte. Notevoli i ponti che attraversano il Danubio. È una città tranquilla e gradevole, dove molti giovani affollano i bar. I prezzi però sono aumentati molto calcolando che si è in Serbia, ad esempio un piatto con del riso costa più di 10 euro. Qualcuno suona per le vie per raggranellare qualche soldo.

Com'è mia prassi cerco di ascoltare le notizie nazionali. Il primo canale dal tardo pomeriggio fino a notte inoltrata e senza interruzione mostra in diretta le proteste che stanno avvenendo a Belgrado e in molte città a sud della capitale. Non c'è il nome di Novi Sad che è stata la Timisoara o forse diventerà la Tienanmen di Vucic. È proprio a Novi Sad che c'è stato il crollo della pensilina alla stazione ferroviaria che ha provocato 16 morti. Nella costruzione c'è di mezzo la Cina. Il popolo è stufo della corruzione e chiede trasparenza.

Usciamo dall'hotel e andiamo ad accertarci che non ci siano manifestazioni pure qua. Il centro è tranquillo. Ci dirigiamo al campus universitario, anche qui tutto tace. Ci spostiamo alla stazione ferroviaria dove lo squallore dei fiori riarsi lasciati lungo le transenne che separano la fermata degli autobus dal luogo del crollo stringe il cuore. Si leggono i nomi dei morti. Ci proponiamo di tornarci il mattino seguente.

Trovo strano che a Novi Sad, che conta circa 400 mila abitanti e che ha dato il La alle proteste non ci sia nessuno in sintonia con Belgrado che scenda in piazza. Parlo con il cassiere al supermercato ma non appena tocco l'argomento si chiude. Il custode dell'hotel mi risponde sempre solo che le manifestazioni della giornata sono in solidarietà per ciò che è successo nella sua città, ma non risponde alla mia richiesta perché a Novi Sad nessuno oggi è sceso in piazza.
La Serbia bolle, il "trono" di Vucic vacilla e com'è risaputo i Balcani producono più storia di quanta ne consumino. Mi chiedo inoltre se i mass media italiani stiano trattando l'argomento.
A poco a poco si fa notte ma le proteste continuano e bloccano nelle varie città il traffico: nel mentre, la polizia interviene e con il sopraggiungere della notte disperde i manifestanti.

Sabato 26 luglio appena svegli ci rechiamo alla stazione di Novi Sad per vedere alla luce del giorno ciò che resta del crollo della pensilina del novembre scorso che ha provocato 16 morti e ha scatenato la protesta contro Vucic e il suo governo. Una poliziotta mi viene incontro, la saluto e con nonchalance scatto delle foto al luogo della tragedia.

Fermo un giovane che è andato a recuperare la sua fidanzata e gli rivolgo delle domande. Fa luce sui miei interrogativi ma preferisce non essere ripreso.
A Novi Sad si è accesa la miccia della protesta che è dilagata in tutto il Paese, ma oggi la città è stanca, non scende più in piazza, ha deciso di arrendersi poiché non vede nessun cambiamento. Il ragazzo è convinto che sia inutile continuare così. Bisognerà anche trovare il modo di costruire qualcosa affinché resti nella memoria ciò che è successo e si renda omaggio a questi morti.
Per terra, a poca distanza dalla pensilina, appoggiati per terra e alle transenne ci sono fiori secchi, peluche, lumini consumati e si leggono i nomi delle persone. Ci sono anche dei bambini innocenti, che qui hanno perso la vita a causa della corruzione. È un'impresa cinese che aveva l'incarico di costruire la suddetta pensilina.
Novi Sad è il luogo in cui è iniziata e si è spenta per prima la febbre della protesta nella speranza di sanare una democrazia che non è riuscita a decollare.

Da Novi Sad procediamo verso la frontiera con la Croazia, non prima di ripercorrere i ponti sul Danubio della città e là dove la Sava ne è il suo affluente. La gente fa il bagno nelle acque del Danubio che di blu hanno ben poco e si rilassa sotto gli ombrelloni sistemati su un tratto di spiaggia.

Questo ponte di Novi Sad è stato distrutto dai bombardamenti della NATO nel 1999 e ricostruito e inaugurato nel 2018.

Uscendo da Novi Sad in direzione Ryma ritroviamo il faraonico cantiere stradale con doppio tunnel che avevamo visto due anni fa. Silenziosi operai dagli occhi a mandorla lavorano indefessamente. Si sta continuando il nuovo tratto di strada a scorrimento veloce che collegherà Novi Sad a Ryma. In sostanza, però, la strada è appena imbastita. La potente macchina cinese qui mi sembra che vada a rilento, forse c'è odore di corruzione. Speriamo che quando il collegamento stradale sarà ultimato resista di più della tettoia della stazione di Novi Sad.

Dopo la coda in frontiera dalla Serbia entriamo in Croazia e poi in Slovenia e ci fermiamo a Novo Mesto a causa di in un diluvio. Avremmo voluto rivedere Lubiana ma stiamo vedendo che il tempo sarà brutto, per cui, se riusciamo, ritorneremo a casa domenica anziché lunedì.

Il rientro

Stamattina partiamo sotto il diluvio dalla Slovenia, da Novo Mesto, una sessantina di km prima di Lubiana e torniamo di filato a casa.
Complessivamente, in questo viaggio abbiamo percorso 10.650 chilometri in 23 giorni, cambiando sistemazione ogni sera, senza mai dormire due notti nello stesso posto. È stata un’esperienza profondamente arricchente, in cui abbiamo messo alla prova la nostra resistenza fisica, la capacità di affrontare la fatica e il silenzio — perché viaggiamo senza interfono. Abbiamo dovuto superare la paura: quella di affrontare un tragitto così lungo e quella di entrare in luoghi dove il timore dell’altro era palpabile, come nelle tendopoli. Eppure, la lezione più grande ci è arrivata proprio da lì: da persone che si sono dimostrate generose oltre ogni aspettativa. Il popolo turco è di un’ospitalità straordinaria, e noi, discendenti degli antichi Romani, dovremmo riscoprire questa pratica così ricca di significato, simbolo di apertura e rispetto verso l’altro.

In quella società, la condizione della donna richiede ancora una forte lotta per conquistare diritti che da noi sono ormai dati per acquisiti. Anche il rispetto per gli animali, in particolare per i cani randagi, è un ambito in cui ci sono ancora molti passi da compiere.
Per quanto riguarda la Turchia, è evidente che una parte consistente del bilancio statale sia destinata alla spesa militare e al mantenimento dell’esercito. Tuttavia, considerando la complessità del contesto geopolitico e la natura dei suoi vicini, questa scelta appare quasi inevitabile. D'altronde, nessuno di noi lascerebbe la porta di casa aperta: c'è persino chi installa sistemi d’allarme.
Ho maturato l’idea che il popolo turco non sia ancora pronto per una democrazia modellata sul nostro sistema occidentale. La religione continua a permeare profondamente la sfera privata, influenzando affetti e comportamenti, e il bisogno collettivo di identificarsi in una figura forte — come fu Atatürk, la cui immagine campeggia ovunque, dai manifesti pubblici alle pareti delle abitazioni private — mi conferma questa impressione.

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