«Mia figlia in carrozzina: sola e senza opportunità»
L'appello di una madre in una lettera

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Ci scrive Katia, madre di una ragazza che, per una malattia, è sulla sedia a rotelle. La sua testimonianza è anche un appello all’inclusione delle persone che vivono la disabilità.
Sono la mamma di Erica, una ragazza di 27 anni colpita da una forma rarissima di malattia genetica invalidante fin dall’età di 13 anni. Da 4 anni Erica è su una sedia a rotelle. Lo choc che ha subìto è stato impattante sulla sua quotidianità: ritrovarsi da un giorno all’altro a non potersi più muovere in autonomia, non poter più fare una passeggiata e quant’altro, l’hanno resa ancora più fragile, triste, ma soprattutto sola. Le amicizie che aveva coltivato durante gli anni scolastici si sono ovviamente dileguate; la vita dei suoi coetanei è andata avanti, mentre la sua si è fermata, come le lancette dell’orologio.
La solitudine, associata alla malattia, l’ha esclusa da tutto ciò che rappresenta per i normodotati la quotidianità ed il gravissimo problema è che le istituzioni locali ignorano tutto ciò. Fintanto che questi ragazzi e ragazze speciali frequentano la scuola, rientrano ancora in un “piano di inclusione”, ma dopo si ritrovano soli. I centri diurni sono quasi al collasso, ci sono liste d’attesa infinite e non tutti vi possono accedere. Ma a 27 anni, si ha voglia, nonostante l’invalidità fisica, di poter condurre un “pezzo” di vita relativamente normale: uscire con altre persone che condividano una situazione simile per un caffè, una passeggiata, due chiacchiere senza la presenza del genitore. Ritrovarsi in un ambiente protetto per gustare una pizza, guardare un film, per condividere anche le emozioni, perché non dobbiamo dimenticare che la disabilità non cancella i sentimenti né tantomeno le emozioni; anzi, le amplifica.
Io rappresento uno dei tanti genitori che condividono il mio pensiero e la mia condizione. Mi sono rivolta a chi di dovere per fare presente tutto questo, ma senza risultato. Da tempo stiamo ricercando un locale che ci permetta di creare uno “spazio”, ma il Comune non ha locali disponibili: siamo anche disposti ad intervenire economicamente e personalmente, ma l’unica struttura che avrebbe messo a disposizione un locale per un sabato intero ci ha richiesto cifre folli, quasi come se ci fosse una speculazione.
Abbiamo bisogno di educatori che ci diano una mano, che ci regalino (dietro compenso) un po’ del loro tempo: vedere il sorriso di mia figlia, la sua gioia, per me sarebbe il regalo più bello che mai possa ricevere.
Ho deciso pertanto di scrivere a tutte le redazioni giornalistiche e radiofoniche della zona perché lo devo a mia figlia ed a tutte quelle creature che, come lei, vivono soltanto più di sogni perché a loro, la realtà non è concesso di viverla e questo fa male.
Questo è un appello rivolto a tutti coloro che possono darci una mano ed a tutti i genitori che vogliano unirsi a noi e che abbiano le nostre stesse esigenze. Confido in chi voglia condividere inclusione e socialità non a parole, ma nei fatti.
Il mio vuole essere un augurio per un futuro in cui non si chiudano più gli occhi davanti a situazioni che “non ci riguardano”, che la “compassione” o “sfortuna”(parole terrificanti ma che spesso ho sentito) lascino il posto a speranza ed amore verso il prossimo.
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