Cesare Grosso è ancora visibilmente scosso quando lo incontriamo alla Bocciofila. Pallido, fuma una sigaretta dopo l’altra. Appena un’ora prima era nella filiale della Cassa di Risparmio di Savigliano, in via Stefano Tempia. Era andato a cambiare un assegno quando sono arrivati i banditi. Entrano come comuni clienti, sono vestiti da motociclisti, a viso scoperto.
«Erano in due – racconta –, giovani, sui trent’anni. Non extracomunitari: di qui. Ero allo sportello che firmavo l’assegno quando sono entrati. In un attimo hanno tirato fuori dei taglierini e si sono coperti il volto con una bandana nera. Mi hanno puntato un taglierino nella schiena ed hanno detto: “Questa è una rapina”».
Sono da poco passate le 10 di martedì 14 luglio. All’interno della filiale in quel momento ci sono tre impiegati ed un solo cliente: Cesare. Tutto succede in un attimo.
«Ci hanno fatti andare in un angolo dell’ufficio, di fronte a quello del direttore, le mani in alto – prosegue Grosso accendendosi un’altra sigaretta –. Uno è saltato dall’altra parte del bancone, ha arraffato i soldi che c’erano nei cassetti, li ha messi in un sacchetto di plastica e poi sono scappati. È finita lì».
I due rapinatori si danno alla fuga, a piedi, facendo perdere le tracce nelle vie del centro storico. Probabilmente da qualche parte avevano nascosto un veicolo per lasciare la città. Il bottino è di circa 8 mila euro.
Scattano immediatamente le ricerche: le telecamere della banca li hanno filmati ed i video sono ora al vaglio dei Carabinieri della Stazione di Racconigi e della Compagnia di Savigliano.
In serata il colpo è stato messo in relazione con altre rapine compiute nella Granda, come quella del giorno precedente al San Paolo di Mondovì. Anche in quel caso erano entrati in azione due uomini vestiti da motociclisti: entrati nella banca di corso Statuto intorno alle 13, mentre all’interno non c’erano clienti, avevano minacciato con la pistola i cinque dipendenti che si trovavano all’interno ed erano fuggiti con 15 mila euro.
Sempre due banditi, appena due ore dopo, erano entrati armi in pugno nella Cassa Rurale ed Artigiana in piazza Italia, a Boves. Almeno in questo caso, però, avevano dovuto andarsene con le pive nel sacco. Qui infatti le casseforti erano protette da un congegno “a tempo”: impossibile per il personale aprirle a comando.